Ha fatto anche cose buone (It also did good things)
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Dates2022 - 2022
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Author
- Location Latina, Italy
Ha fatto anche cose buone (It also did good things) is a photographic research created by Jamila Campagna in 2022: the author's personal experience meets the History and the shapes of the city of Latina (Italy) where she lives and grew up
Ha fatto anche cose buone (It also did good things)
ENG
Author's statement
A photographic project, done as a topographic reconnaissance and taxonomic sampling of elements, which crosses and is crossed by personal identity and memory in the very narrow corridor of meanings in which they become collective identity and memory, in the urban and natural space that I inhabit and in which I was born and raised.
My private story and the History of the city of Latina are double-bound in a series of images where I am the city and the city is me, where my own wound is also our wound: the aching cut in a social body inescapably intertwined as a communal living being. The recurrence of forms is an impetus of decipherment on a surface which is a field of signs and removals of a private war, of a World War.
There are thing that time can't heal; some things need special care in order to heal and, all in all, understanding is a necessary condition in every healing process.
Comprehending: taking within, including, solving things at the point where feeling doesn't proceed from inside-out, but means being the same, feeling within, annihilating the threshold between inside and outside.
So if I never fled from Latina, it's because I belive that you have to stay where there's more need, in order to protect the borders and to open new passages. But if I stayed it is also to continue asking myself if, after all, this city "also did good things".
ITA
Introduzione dell'autrice
Un discorso fotografico, fatto come ricognizione topografia e campionatura tassonomica di elementi, che attraversa ed è attraversato dall’identità e dalla memoria personali nello strettissimo corridoio di significazioni in cui diventano identità e memoria collettive, lì nello spazio urbano e naturale che abito e in cui sono nata e cresciuta.
La mia storia privata e la storia della città di Latina si legano a doppio nodo dentro una serie di immagini nelle quali io sono la città e dove la città è me, dove la mia ferita è la ferita nostra, il taglio dolente di un gruppo sociale necessariamente interconnesso nel suo esistere comunitario. La ricorrenza delle forme è un impeto di decifrazione su una superficie che è un campo di segni e rimozioni di una guerra privata, di una Guerra Mondiale.
Alcune cose non le cura il tempo; alcune cose hanno bisogno di attenzioni particolari per guarire e capire è la condizione necessaria per ogni processo di guarigione. Comprendere: prendere in sé, integrare, risolvere le cose nel punto in cui il sentire non è più un moto da dentro a fuori ma un coincidersi, sentire dentro e annullare la soglia tra dentro e fuori.
Se non me ne sono andata da Latina, è perché penso si debba restare dove c'è bisogno, a presidiare i confini e aprire i varchi. Ma se sono rimasta è anche per continuare a chiedermi se, in fondo, questa città "ha fatto anche cose buone".
“Ora dirò della città di Zenobia che ha questo di mirabile: benché posta su terreno asciutto essa sorge su altissime palafitte, e le case sono di bambù e di zinco, con molti ballatoi e balconi, poste a diversa altezza, su trampoli che si scavalcano l’un l’altro, collegate da scale a pioli e marciapiedi pensili, sormontate da belvederi coperti da tettoie a cono, barili di serbatoi d’acqua, girandole marcavento, e ne sporgono carrucole, lenze e gru. Quale bisogno o comandamento o desiderio abbia spinto i fondatori di Zenobia a dare questa forma alla loro città, non si ricorda, e perciò non si può dire se esso sia stato soddisfatto dalla città quale noi oggi la vediamo, cresciuta forse per sovrapposizioni successive dal primo e ormai indecifrabile disegno. Ma quel che è certo è che chi abita a Zenobia e gli si chiede di descrivere come lui vedrebbe la vita felice, è sempre una città come Zenobia che egli immagina, con le sue palafitte e le sue scale sospese, una Zenobia forse tutta diversa, sventolante di stendardi e di nastri, ma ricavata sempre combinando elementi di quel primo modello. Detto questo, è inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere la città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati.“
[Zenobia, da Italo Calvino, Le Città Invisibili]