AnimAnimale - I Don't Know How To Respond To That Violence

Questo progetto nasce dall'esigenza di esprimere un disagio crescente nei confronti della follia distruttiva ed autodistruttiva del genere umano a cui non si riesce a dare una risposta, né un freno.

Anno 2023, il mondo si divide, i contrasti tra i popoli si acuiscono. Si costruiscono muri, nascono nuovi campi di concentramento, con nomi meno cruenti ma con specifiche analoghe: Isolare, Contenere, Separare.

Il progetto ANIMA/ANIMALE nasce come lavoro site-specific, e prende spunto dalla originaria destinazione degli spazi espositivi del Macro Testaccio a Roma, ovvero il mattatoio, campo di concentramento animale con i suoi strumenti di costrizione, di detenzione, di morte.

Ed in questi tempi di oblio della dignità della vita in ogni sua forma, dalla distruzione delle foreste all’estinzione delle api, fino al rifiuto di dare dignità e diritto ad una esistenza sostenibile ad interi popoli in nome del profitto, ed eliminarli fisicamente attraverso guerre e genocidi, ripartire dall’orrore può essere una possibilità per restituire un senso al rapporto tra l’uomo e la vita che lo circonda.

Il rapporto vita/morte è nella natura delle cose. La violenza, il sopruso, l’inutile sofferenza no.

Che un luogo come il Mattatoio sia trasformato da lager animale a spazio per la creatività è un esempio di come niente sia negativo in sé. Il mondo è bello o brutto, vivibile o invivibile a seconda di come noi ci relazioniamo con esso.

Se non rispettiamo la natura, se non rispettiamo gli esseri viventi, non rispettiamo noi stessi. E ci abitueremo sempre più alla quotidianità dell’orrore.

Nel ritratto lo sguardo del soggetto determina il senso e la qualità dell’immagine. Scoprire che anche negli occhi di un animale possiamo ritrovare la curiosità, la serenità, ma anche il terrore e, se vogliamo, l’ironia e lo sberleffo, può aiutare a ridare una dimensione meno utilitaristica e meccanicistica del rapporto uomo/animale. Nel tempo trascorso tra questi animali la soggezione e la diffidenza reciproca hanno lasciato il passo ad un dialogo silenzioso, fatto di sguardi, movimenti, avvicinamenti e a volte di consonanza. Rappresentare il loro stato di “detenzione” in una sorta di braccio della morte, le loro catene, ma nello stesso tempo creare con essi un rapporto da vivente a vivente; fino a cercare nei loro musi, nei loro sguardi, una caratteristica peculiare che li renda unici e riconoscibili.

Grazie ad Alessandra Mosca che mi ha accompagnato con la sua presenza nella rilettura visiva di questi luoghi, a ricordarci che ogni lager può diventare una galleria d’arte, ma che senza la memoria di ciò che è stato ogni luogo può essere trasformato in un nuovo lager.

Il progetto è stato esposto presso il MACRO Testaccio nei locali della Pelanda

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