Il lago

Il lago era il nostro rifugio: bagni, falò, grigliate, libertà. Poi catene e cartelli l’hanno svuotato. Eppure per noi resta un richiamo: di notte è sublime e inquieto; ci fa sognare, pensare, ricordare. Nonostante i divieti, continuiamo a tornare.

Il lago,

è sempre stato un luogo vissuto, un punto fermo delle nostre giornate e delle nostre estati. Non era solo acqua e alberi, ma uno spazio che sembrava fatto apposta per accoglierci. Qui si facevano bagni interminabili, giochi che duravano fino al tramonto, feste improvvisate che nascevano con niente: una cassa, qualche bottiglia, la voglia di stare insieme. Le grigliate riempivano l’aria di fumo e di profumi, i falò illuminavano i volti e ci facevano sentire parte di qualcosa di più grande. Era un posto libero, senza orari, senza regole scritte, dove bastava arrivare e ci si sentiva subito a casa. Per più di dieci anni il lago è stato questo: un punto di ritrovo, un luogo pieno di vita, di risate e di ricordi che sembravano non potersi consumare.

Poi, all’improvviso, tutto è cambiato. Da questa estate hanno messo catene e cartelli di proprietà privata. Segnali freddi, che non lasciano spazio a interpretazioni. E così la gente ha smesso di venire, come se una barriera invisibile fosse scesa insieme a quelle catene. Il lago si è svuotato: niente più voci che si rincorrono, niente più ombre che si muovono attorno al fuoco, niente più tuffi che rompono il silenzio. È rimasta soltanto l’acqua, immobile, e il bosco che la circonda, più cupo, più distante.

Eppure, per noi che siamo cresciuti lì, il lago non ha smesso di esistere. Non è diventato un luogo proibito, ma continua a essere un riferimento, un richiamo che non si può ignorare. Anche adesso, quando torno, lo faccio con lo stesso rispetto di allora, come se mi stesse aspettando. Ci torno con gli amici di sempre o, a volte, da solo, soprattutto la sera. È di notte che il lago mostra il suo volto più profondo: diventa sublime, quasi mistico, ma a tratti spaventoso. L’acqua si fa scura, il bosco attorno si stringe, e il silenzio amplifica ogni piccolo rumore. Basta un fruscio, un guizzo in lontananza, un bagliore improvviso sull’altra sponda, e la fantasia inizia a correre. Ci si sente liberi e inquieti allo stesso tempo, sospesi tra l’immaginazione e la realtà.

Camminiamo scalzi per sentire il terreno sotto i piedi, per restare legati al luogo in maniera più diretta. A volte parliamo a lungo, progettiamo viaggi, sogni, cose che forse non realizzeremo mai, ma che lì sembrano possibili. Altre volte ci fermiamo in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, lasciando che sia il lago a parlare per noi. Sono momenti che sembrano rallentare il tempo, come se ci concedesse una tregua dal resto del mondo. Sappiamo che sono attimi destinati a svanire, che non dureranno per sempre, ma proprio per questo diventano più intensi.

E così, nonostante i divieti e le catene, continuiamo a tornare. Perché quel lago è parte di noi, della nostra crescita, delle nostre estati passate e di quelle che verranno, anche solo nei ricordi. Ci tiene uniti e ci ricorda chi siamo stati. Finché potremo, resterà il nostro lago, un luogo che non smetterà mai di chiamarci.

Il lago by Giovanni Giusti

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